• BUSINESS COACHING – MASTINI ALL’OPERA… PER LIBERARE LE POTENZIALITÀ DEL MANAGER

“Abbiamo un piano strategico straordinario.  Si chiama FARE LE COSE.”

Herb Kelleher

Nessuna finzione. Nessuna difesa. Solo dedizione, forza, pragmatismo, esperienza di business e ascolto. Può essere così sintetizzata l’attività di business coaching. Un approccio che richiede impegno nella relazione “impeccabile ed esigente” con il manager, in cui è necessario mettere in campo tutte le proprie risorse, per affiancarlo in situazioni spesso difficili. Se a ciò si aggiunge la capacità di cogliere le determinanti dell’ambiente e della vita professionale della persona, una esperienza consolidata che permette di conoscere nel merito le dinamiche aziendali e di business, di essere riconosciuti come affidabili e una notevole capacità di comunicazione e ascolto, si completa il profilo del coach, il “mastino che non molla”.

Un fatto è assodato: proprio ora si sente il bisogno di rivolgersi alle attività del pensiero che riflette su se stesso e sulle azioni messe in campo, che si sofferma e analizza tanto gli aspetti emotivi di una situazione quanto quelli relazionali, fino a richiedere il supporto di professionisti specificamene dedicati. Spesso mi sono chiesta perché. Che cosa ci muove verso questa necessità di capire meglio che cosa facciamo, come lo facciamo e perché? Quale motivazione profonda ci fa sentire il bisogno di integrare l’azione dando maggiore spazio ai momenti di elaborazione cognitiva, di esplorazione creativa, di apertura degli orizzonti mentali ed emotivi delle persone?

Business coaching: di che cosa si tratta

Il business coaching rappresenta oggi, nelle esperienze di innovazione e sviluppo organizzativo, l’approccio strutturato più funzionale a produrre, in tempi contenuti, risultati importanti in termini di attivazione, coinvolgimento e supporto al manager verso gli obiettivi aziendali e l’attuazione dei cambiamenti necessari.
E’ un intervento “one to one”, funzionale alla crescita e alla formazione individuale, dove il coach agisce da
consulente e da guida per la persona e dove le necessità dell’individuo e della situazione che si trova a
gestire sono prioritarie.
L’obiettivo è di potenziare i comportamenti decisivi per il business nei ruoli direzionali, non in astratto, ma in
modo diretto e tangibile, nel quotidiano svolgersi delle attività. Si snoda attraverso un percorso personalizzato e flessibile, mediante incontri in cui si applicano spunti, idee, provocazioni alla realtà concreta dell’azienda, si mira allo sviluppo di capacità pratiche sotto osservazione e di volontà/capacità di applicarle nel contesto in cui il manager opera.

Migliorare la performance individuale e dei gruppi, attraverso il confronto con modelli di riferimento e
pratiche eccellenti, potenziare e sviluppare le competenze, impostando piani di azione e verificandone la
realizzazione, allenare al miglioramento sono le direttrici di ogni intervento.

Il successo è nei risultati

Il buon esito dell’azione di coaching si misura non solo sulla soddisfazione reciproca o su apprendimenti
generici, ma inevitabilmente sui risultati raggiunti.

Quando è davvero utile per un manager?

Ad esempio, in un momento di crisi in cui, in tutta fretta, occorre ripensare il modello di business, inventare un nuovo approccio, far evolvere velocemente l’organizzazione. Oppure quando si è catapultati in contesti completamente nuovi, magari in luoghi lontani, o anche quando un manager prende una responsabilità direzionale di primo piano, ma il suo profilo non è ancora completo. Può a volte capitare un periodo di disorientamento, perché non si capisce bene quali sono le vere cause dei disallineamenti, non si riesce a individuare un chiaro percorso. Insomma, in generale si ricorre al business coaching in circostanze particolarmente sfidanti in cui si ha bisogno di quella riserva di energie, idee e competenze in più, perché c’è una elevata dose di incognite e una possibilità concreta di insuccesso.

A seconda del ruolo del manager seguito, si parte dal risultato che si vuole ottenere, lavorando in modo integrato e adatto al suo livello, su domande come: in che direzione andare? Funzioniamo davvero bene? Gli sforzi erogati stanno portando i risultati sperati? Dove investire per mantenersi competitivi? Esiste qualche altra via da percorrere? I collaboratori si fidano e mi danno ascolto? Mi sto muovendo bene nel network di relazioni? E così via.

Come si svolge un percorso di coaching? 

Spesso l’avvio di un percorso è stimolato da quesiti come: Qual è il suo ruolo di direzione, che cosa ci si aspetta da lei? Mi può fare un elenco degli obiettivi di business per i prossimi 12 mesi? Quali sono due opportunità attuali che possono permettere di raggiungere i risultati per l’anno? E simili, esplorando tutte le aree sulle quali è fruttuoso un intervento.

Un supporto che solo raramente supera i 6–8 mesi, al fine di evitare l’instaurarsi di forme di dipendenza o sostituzione. Una relazione intensa, condensata in meeting brevi e diluita nel tempo, che porta il coachee a “fare i conti con le proprie caratteristiche e abitudini personali, a metterle in discussione e cambiare”.

Ed è ciò che accade durante un interessante intervento di coaching in una tipica azienda familiare di medie dimensioni, poco strutturata, in cui uno dei congiunti dell’imprenditore prende la responsabilità di una nascente unità organizzativa, con ambiziose prospettive di mercato. L’organizzazione interna, piatta e destrutturata, con frequenti commistioni fra questioni aziendali, personali e familiari, determina un senso di incertezza nel manager nella gestione e distinzione degli aspetti lavorativi, organizzativi e relazionali.

Il coaching è quindi mirato allo sviluppo di una leadership più autonoma e propositiva, alla comprensione e attuazione di modalità di operare in un momento critico e di start-up, al coinvolgimento della squadra. Il successo dell’attività è decretato dalla compliance verso i dati di business plan, dal consolidamento dell’organizzazione e delle attività, dalla accelerata maturazione professionale.

5. Manager e organizzazioni inclusivi, plurali, motivanti

La richiesta che si fa dunque alle organizzazioni (vedi ad esempio le Societal Challenges di Europa 2020) è di riuscire a divenire un luogo di non discriminazione, di inclusività e cooperazione efficace. La varietà delle provenienze e delle idee è un ingrediente indispensabile per l’innovazione. Si prospetta dunque che nelle imprese sappiano lavorare capi autonomi, equilibrati, consapevoli di sé, capaci di aggregare e di non cadere vittime di vecchie logiche legate alla contrapposizione e alla guerriglia interna (il “noi contro di loro”). Persone che, con flessibilità e senso del proprio valore e dei propri limiti, siano in grado di agire in modo aperto e senza preconcetti. L’innovazione sociale e quella tecnologica non sono disgiunte, vanno di pari passo, ma l’una non implica necessariamente l’altra. Un tale ideale di presenza personale non si raggiunge senza aver fatto un investimento in termini di lavoro su di sé e senza aver preso coscienza del modo in cui si impatta sugli altri e sull’organizzazione.

Barbara Parmeggianihttps://weplusnetwork.com/fondatori_associati/

Executive Consultant, Psychotherapist & Coach
bparmeggiani@gmail.com

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