• QUATTRO TIPOLOGIE DELLA DIVERSITÀ

“Solo se riusciremo a vedere l’universo come un tutt’uno,
in cui ogni parte riflette la totalità
e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità,
cominceremo a capire chi siamo e dove stiamo”

Tiziano Terzani

“Ogni volta è uno scontro, non riesco proprio a capire quello lì come ragiona” mi dice esasperato un manager alle prese con un collaboratore con cui non c’è proprio intesa. “La buona volontà c’è, ne sono sicuro, ma poi quando ci confrontiamo non c’è verso di capirci, che fatica!”.

Affermazioni di questo genere rappresentano solo una tre le variopinte forme in cui il tema della diversità si affaccia in azienda. tant’è che negli ultimi anni se ne parla sempre più frequentemente. Alla fin fine il compito delle aziende è comunque di portare a integrazione apporti diversi verso obiettivi comuni e, come diceva Franz Kafka, “il difficile non è fare le cose, il difficile è intendersi con le persone”.
Un territorio sconfinato di indagini, ricerche, metodi, prassi a partire dagli Anni ’80 investe il mondo del lavoro alle prese con le problematiche delle discriminazioni di genere, con la popolazione multietnica, con la necessità di trovare un orientamento comune all’interno delle molteplici culture che cominciano ad essere compresenti negli ambiti organizzativi. Nasce da questa prospettiva il cosiddetto diversity management, ovvero quel filone di studi che si pone come obiettivo il riconoscimento, la comprensione, l’accettazione, la valorizzazione delle differenze tra le persone nei contesti organizzativi.

Un tema che si pone oggi all’attenzione più che in passato, perché la diversità nei ranghi delle imprese è certamente aumentata: giovanissimi accanto a senior in età matura, donne che si affacciano in mestieri in cui una volta era impensabile la presenza femminile o che tentano la scalata ai livelli top dell’organizzazione, culture e religioni differenti che impongono ripensamenti anche importanti di orari, abitudini, modi di comunicare.
Non si può dimenticare tuttavia che una delle basi su cui la diversità poggia è senz’altro quella delle caratteristiche di personalità, degli orientamenti di fondo degli individui, del loro modo di affrontare altre persone, compiti e situazioni. Un ambito nel quale la competenza manageriale è tradizionalmente scarsa, se non inesistente, e che invece meriterebbe una più ampia considerazione, anche perché ha il pregio di essere trasversale a quei tipi di diversità (legati ad età, sesso, cultura, etc.) di cui tanto si parla.

Quando infatti si vuole lavorare a fondo sulla leadership e sulle relazioni interpersonali, una conoscenza accurata di queste discriminanti appare davvero utile. Disporre di qualche schema di riferimento per interpretare “come la gente ragiona” (o anche: come sragiona!) può fare la differenza e iniziare a costruire una maggiore consapevolezza di cosa vuol dire essere diversi, da vari punti di vista.

Di modelli ne esistono molti. Cito ad esempio l’importante contributo di C.G. Jung, che esplora il modo delle persone di porsi in relazione con l’esterno e con gli altri. Conosciuta come la Teoria dei Tipi Psicologici si propone di classificare gli approcci delle diverse persone sulla base di quattro assi le cui polarità sono Estroversione-Introversione, Pensiero-Sentimento, Intuizione e Sensazione, Giudizio e Percezione. A livello diagnostico, una delle elaborazioni maggiormente divulgative è costituita dal test MBTI, comunemente usato per lo sviluppo manageriale e dei team.
L’utilità per il manager di acquisire capacità di lettura di queste importanti dimensioni risiede certamente in una migliore comprensione di ciò che accade nei team e nei gruppi di lavoro e di assorbire alcuni atteggiamenti di fondo che possono amplificare la propria efficacia organizzativa. Provo ad enumerare alcuni degli assunti di base e le loro importanti implicazioni:

  • Le persone sono differenti nel modo di pensare e di dare attenzione alle cose (non tutti sono come noi!)
  • Non esiste il modo di fare “perfetto”, ciascun tipo di approccio ha vantaggi e svantaggi.
  • Un’efficace azione manageriale tiene conto delle diversità, le integra e le valorizza.
  • Il manager non adopera con tutti lo stesso linguaggio (es. numeri), ma calibra la propria azione in rapporto alle preferenze di ciascuno.
  • Con chi ha un modo di approcciare le cose diverso dal nostro tendiamo a sintonizzarci con maggiore difficoltà , ma …
  • Relazionarsi bene solamente con quelli come noi ci impoverisce e tende a creare “cloni”.
  • Conoscere il nostro modo di porci nei confronti della realtà ci può essere utile a non dimenticare le aree in cui siamo meno a nostro agio, che tendiamo a “non vedere” (zone d’ombra), a sviluppare potenzialità poco coltivate, ad evitare le trappole in cui possiamo facilmente cadere

A livello organizzativo, trasponendo le tipologie psicologiche individuali, potrebbe essere utile capire quando e quanto l’azienda è attiva in ciascun ambito e quali sono le preferenze più in luce: è un’azienda “introversa” che guarda soprattutto al suo interno? È prevalentemente ancorata ai dati di fatto attuali e magari poco orientata in senso strategico e di vision (Intuizione)? I sentimenti delle persone sono lasciati in ombra (Sentimento, ovvero clima) e nessuno ritiene di doversene occupare?
Insomma le quattro polarità psicologiche possono servirci come spunto per una più ampia comprensione delle differenze individuali in termini di tipologie prevalenti e darci suggerimenti su come affrontarle.

Altrimenti si corre il rischio manageriale che Paulo Coelho ha mirabilmente sottolineato: “Tu sei una persona diversa, che vuole essere uguale. E questo, dal mio punto di vista, è da considerarsi una malattia grave.”

Barbara Parmeggiani

Antropologa, Consulente & Coach
bparmeggiani@gmail.com

Leave Comment